Damon Albarn si sta espandendo. Sì, lo so amici e marito mio, pure di pancia. Il rosa d’ordinanza usato da tutto il gruppo in questo Tour 2022 dei Gorillaz non è certo d’aiuto. Neppure la T-shirt extra-large. Ma io intendo che questa splendida creatura mitologica si sta espandendo concettualmente, non fisicamente.
Albarn non è mai stata una figura semplice da interpretare, ovviamente lo sarà ai più che banalmente ancora pensano alla diatriba Oasis-Blur (peraltro voi siete quelli che ancora credono che i Radiohead facessero parte del movimento Brit Pop ma vi lascio alle vostre convinzioni, ho quasi 43 anni e non ho tempo per argomentare).
Il fatto è che Damon Albarn ha fatto di tutto ormai. Pop, rap, world-music, progetti con orchestrali profughi della Siria, si è smazzato mesi e mesi in Africa a cercare nuove sonorità, ha progettato colonne sonore, ha riunito personalità come Paul Simonon, Simon Tong e il compianto Tony Allen in un gruppetto improvvisato che sforna capolavori così per hobby e nel frattempo è andato a vivere in Islanda (di nuovo) per cambiare ancora una volta sonorità e prospettive con l’ultimo album solista uscito nel 2022.
Quindi, quando lo vado a vedere per la quarta volta esibirsi live, questa volta con i Gorillaz appunto il 5 luglio all’Arena di Verona – dove ormai le mie urla (per i live “moderni”) e lacrime (per l’Opera) sono sparse per tutti i suoi scalini da quante volte ho avuto il piacere di vedere lì degli spettacoli – non so davvero cosa aspettarmi.
Il mio primo live dei Blur risale al 1996: il mio primissimo concerto in assoluto, ho rischiato la vita soffocata in mezzo alla calca, ragazzina tappo sedicenne piena di entusiasmo ma con il fiato corto. Il secondo fu a Imola nel lunghissimo Heineken Jammin Festival del 1999, dove ho rischiato di nuovo la vita per essere rimasta sveglia 24 ore in pratica senza pisciare e perché subito dopo Albarn & Co. si sarebbe esibito Marylin Manson e quindi pensai bene di tagliare la corda. Sì lo so, ragiono a stereotipi, ma i suoi fans mi facevano paura e quindi me ne andai a gambe levate. Ripeto che c’ho quasi 43 anni e non ho tempo per argomentare. Il terzo fu la liberazione dal rischio di ammazzare marito e figlia, visto che fu il primo evento live dopo la maternità e i miei livelli di stress erano alquanto elevati per la mancanza di socialità, in quel del 2013.
In questo, invece, ho rischiato di essere cacciata fuori dall’Arena per aver allegramente ignorato che il mio biglietto fosse appunto per le gradinate, per poi ritrovarmi con Damon Albarn a lato palco a limonarlo.
Detto questo, torniamo al suddetto live.
Un’intro al cardiopalma con M1 A1 decisamente incalzante e quasi più da repertorio Blur, accolta da un mega CIAO sul megaschermo che durante tutto lo spettacolo ha proiettato i nostri in formato cartoon, che ricordiamo essere stato ideati da Albarn assieme a quel genio fumettista che risponde al nome di Jamie Hewlett (già creatore di Tank Girl).
Un palco con strumentazione da paura, sapientemente usata (percussioni e synth in primis), un amalgama molto genuino da parte delle 5 coriste dalle voci pazzesche, calde, suadenti o grintose all’occorrenza – un supporto davvero super alla voce di Albarn che non è certo indimenticabile, lo ammetto, ma sempre molto espressiva e migliorata tantissimo con gli anni e il repertorio. Dei musicisti molto scafati, esperti e, come si suole dire, sul pezzo: quel genere di suonatore che ti fa percepire l’idea di gruppo (su tutti ovviamente il bassista Seye Adelekan, inarrestabile) nonostante il frontman sovrasti così tanto e prenda su di sé tutta l’attenzione, inevitabile.

I Gorillaz ci presentano un repertorio in scaletta vario, ampissimo, che corre lungo i 20 anni abbondanti dal primissimo album del 2001 all’ultimo Song Machine. Di certo non mancano né hit né brani variegati dai quali attingere per tenere sempre alto ritmo, livello e attenzione del pubblico. Se anche il pathos venisse meno, ci pensa Albarn tra un “Fuck Boris Johnson” e un “Mi sento bene” buttato lì, nell’estasi generale.
Possiamo definirla musica prevalentemente elettronica? Boh, forse, ripeto che le argomentazioni non sono il mio forte. Io ragiono di pancia con le 3 “acche” che conosco di musica, maggiori dell’ascoltatore medio, quindi ecco perché sto qui a scrivere qualche cazzata su Dirty Little Review e voi a leggere. E quindi ecco perché mi permetto di dire che forse no, non è giusto incasellare il mood della musica dei Gorillaz nell’elettronica perché sfocia davvero in tantissime sfumature e stili. A riprova, i numerosissimi featuring esibiti, virtuali e reali: virtuali sul mega schermo ci siamo goduti la versione cartoon di Robert Smith dei Cure con Strange Timez ed Elton John con The Pink Phantom, mentre for real Pos dei De La Soul per la roboante Feel Good Inc., verso il finale e la soave Fatoumata Diawara per Désolé.

Ho amato molto un momento di Albarn a un certo punto della serata, mi faccio seria un momento: si è seduto al suo piano, dopo un brano particolarmente sentito dal pubblico – peraltro gasato a livelli che non vedevo da mo’ a un live, Arena letteralmente in visibilio – si è guardato attorno, poi ha osservato i tasti del suo piano, ha alzato di nuovo la testa per aria e ha esclamato
Well, you know, phew… (sospiro)
what just happened, MUSIC.
Che cuore grande, che bello tornare a questa vita da eterna ragazzina che va a vedere i suoi artisti preferiti.
Damon, ti amo sempre molto, mi sto affezionando pure al tuo giro vita.
Scaletta:
– M1 A1
– Strange Timez
– Last living souls
– Tranz
– Tomorrow comes today
– 19/2000
– Rhinestone eyes
– Sleeping powder
– Cracker island
– O green world
– Pirate jet
– On melancholy hill
– El manana
– Fire flies/Little pink plastic bags
– Rock it
– Kids with guns
– Désolé
– Andromeda
– Dirty harry
– Momentary bliss
– Hong Kong
– The pink phantom
– Stylo
– Feel Good Inc.
– Clint Eastwood
Quando: Martedì 5 luglio 2022
Dove: Arena di Verona
Qui sotto potete ascoltare la playlist con la scaletta del concerto.
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Cristina Peruzzo