Per arrivare a domani. Intervista ai dune°

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Siete alla ricerca di un bel disco pop d’autore? Avete voglia di leggerezza ma rifuggite la banalità? Prediligete sonorità evocative? Allora Per arrivare a domani, il primo album del trio bassanese dune°, è l’ascolto che fa per voi! Composto da undici tracce, il disco è uscito sul finire dell’estate, a metà settembre. Avrebbe dovuto venire presentato in concerto, nell’ambito della rassegna di concerti Angaround, organizzata da Villa San Giuseppe di Bassano Del Grappa, ma in realtà il release party non ha mai avuto luogo. O meglio, non ancora. Trattasi però di un album e di un gruppo che meritano attenzione e rilievo, perciò abbiamo deciso di incontrarli e porre loro qualche domanda, su di loro e sul loro ottimo disco d’esordio. Ne è uscita una lunga e piacevole chiacchierata con il batterista Marco Lo Giudice, supportato dai suoi sodali.

dune - per arrivare a domani

Che ne dici di partire dall’inizio? Chi sono i dune° e quando iniziano la loro attività? E poi, ci togli la curiosità e ci spieghi da dove esce il vostro nome e la particolare grafia dello stesso?

I dune° siamo noi tre: Marco e Francesco Lo Giudice, e Andrea Raccanelli. Due fratelli di sangue e uno acquisito. Con Checco suonavamo insieme da sempre, in casa, ma mai nella stessa band. Con Racca abbiamo condiviso i primi palchi vent’anni fa in una troppo giovane e folle band vicentina, La Polifonica, per poi ritrovarci a macinare rock e bpm con i Soyuz. Conclusa l’esperienza con loro a fine 2015, abbiamo cominciato quasi subito a condividere riff e pattern in un paio di prove. La chiamata di Checco è stata naturale e immediata. Il nome è arrivato tardissimo: “Dune” è un libro stupendo di Frank Herbert, che ha dato vita ad almeno due videogiochi splendidi e al film capolavoro di David Lynch. Ci sembrava anche un nome semplice ma evocativo, come la nostra musica. Il pallino ha tentato poi di aggiungere eleganza, per assomigliarci ancora un po’ di più.

Alla fine della scorsa estate si sarebbe dovuto tenere, in Villa Angaran San Giuseppe, luogo magico e che conosci molto bene, il concerto di presentazione, o meglio release party, del vostro album d’esordio, Per arrivare a domani. Poi il maltempo, prima, e il ritorno delle misure restrittive in merito a spettacoli e concerti, poi, hanno causato il rinvio dell’evento. Cosa significa, per un artista, non poter condividere live la propria musica?

Significa che portiamo una sfiga allucinante! Scherzi a parte, eravamo prontissimi e lo saremo non appena sarà possibile tornare ad ascoltare buona musica all’aperto. La lentezza che ha contraddistinto fin dall’inizio questo progetto – abbiamo vite incasinate, come tutti – ci ha abituato a saper attendere, a non avere fretta, a preparare le cose per bene. Ci eravamo detti che anche per i concerti sarebbe stato così, che avremmo scelto con cura dove e come suonare. Forse suonare dopo tutto questo sarà ancora più bello. In Villa, ovviamente, e poi magari anche altrove.

Spesso, all’interno delle band, ci sono ruoli ben definiti. È così anche nel vostro caso? Noto per esempio che i testi sono praticamente tutti firmati da te.

Tutti e tre abbiamo sempre suonato in progetti di musica originale: c’è un’attrazione radicale e profonda per il processo compositivo, per la casualità quasi magica della creazione artistica, per l’alchimia che si crea in sala prove. Non scriviamo per professione, le canzoni nascono quasi tutte da jam in sala prove oppure da mie demo embrionali al pc o – dio ce ne scampi e liberi – voce e chitarra. Quel che accade dopo è la parte che ci piace di più: staremmo ore a curare e limare gli arrangiamenti di ogni singolo brano. I testi sono effettivamente quasi tutti miei, più per coraggio che per effettivo talento, che certamente non ho. Checco e Racca mi hanno fatto superare la classica fase “carta appallottolata e cestinata” e il resto è venuto da sé. Dentro ci sono pezzi di vita degli ultimi quattro anni: l’A4, la val di Funes, Buzzati, Etty Hillesum, il kintsugi, la meditazione, un cane campione del mondo, lavoro, amici, figli.

Iniziamo a parlare proprio del disco, con un paio di considerazioni. La prima è prettamente sonora, nel senso che fin dal primo ascolto Per arrivare a domani mi è sembrato un album registrato molto bene. Ecco, per dare a Cesare quel che gli appartiene, chi ne ha curato l’incisione e dove?

Le nostre vite incasinate, tra lavoro e famiglia (nel tempo del disco sono arrivati tre figli), ci hanno portato a dilatare di molto il tempo in cui eravamo soliti fare dischi nei progetti precedenti. Un’esigenza meramente organizzativa si è trasformata subito in una scelta artistica sempre più consapevole: abbiamo optato per registrare in autonomia quasi tutto, chiusi nella nostra sala prove, con la nostra attrezzatura e – nel bene e nel male – con le nostre orecchie talvolta educate, talvolta inesperte. Non abbiamo voluto rischiare con le batterie, registrate a febbraio 2018 da Marco Banderne e Jason Nealy nel loro studio a Crocetta del Montello. E abbiamo cercato sapienza, gusto e amicizia in Martino Cuman, che ha mixato e masterizzato l’album. Martino ha fatto crescere meravigliosamente tutti i brani, gliene siamo davvero grati. Se il disco suona – e per noi suona eccome – è decisamente merito suo.

Il disco mi sembra avere dei riferimenti chiari, in primis a mio avviso quella che chiamo “la scuola romana”, cioè a quel filone dorato che risponde ai nomi di Sinigallia, Gazzè, Fabi, Silvestri. Poi, a un ascolto più approfondito, ho recepito echi di Battiato e riferimenti letterari, Buzzati per tutti. Ecco, queste sono mie impressioni, ma quali sono le vostre reali influenze artistiche?

Non sei il primo a citare Fabi e la scuola romana. Forse chi l’ha più ascoltata di noi è Checco, io e Racca non particolarmente. Abbiamo ascolti onnivori tutti e tre, rock, jazz, punk, tantissimo pop: ci continuiamo a passare roba anche se con meno avidità di un tempo. Battiato è forse un punto in comune a tutti e tre, soprattutto i dischi più pop, quelli per intendersi che vanno dal Cinghiale Bianco al Cammello in una Grondaia… sono anche i dischi della nostra infanzia, delle cassette in auto per andare al mare con i nostri genitori: ci metterei anche Dalla e Zucchero, per rendere l’idea. Se devo generalizzare ti direi che io e Checco siamo decisamente più vicini a suoni e colori degli anni ’80, Racca è musicalmente figlio di pop e rock anni ’90 e dei gruppi nord europei primi 2000.

Ho definito le vostre canzoni come pop d’autore. In due canzoni dell’album, Oro e Bagaglio a mano ospitate il rapper (o meglio hip-hopper) Endi Primo. Ecco, specialmente il primo brano citato mi ha fatto pensare, a parti invertite, a Sinigallia che in Quelli che benpensano di Frankie Hi-Nrg canta il ritornello. Come nasce la collaborazione con Endi Primo?

Oro esisteva da un po’, era nata da una jam stralunata, con un riff quasi da pianista “classico” di Checco. Poi l’arrangiamento è andato a sottrarre sempre di più – come spesso è accaduto e accade – e ci siamo ritrovati con un finale strumentale a cui mancava un cantato. Qualche tempo dopo Racca ci ha mandato un vocale in cui aveva sovrapposto al nostro strumentale una parte rappata di Eminem: l’idea era fighissima e non abbiamo fatto altro che chiedere al rapper bassanese per antonomasia, Endi Primo. In due prove, Endi ha scritto, provato e registrato i due brani del disco: un fuoriclasse.

In più di un’occasione si trovano riferimenti al passato (che è successo dieci anni fa?), ma anche all’attesa e al futuro. Il titolo stesso dell’album sintetizza il tema. Visto che sei l’autore dei testi colgo l’occasione per chiederti qual è il rapporto di dune° con lo scorrere del tempo (domanda marzulliana).

È vero, senza troppo volerlo il tempo è un fil rouge di tutto il disco. Forse la scelta del titolo ci è piaciuta per questo. Adoro la storia e le storie. Lego la mia vita a episodi che colloco con una certa facilità nel tempo – sono spesso preso in giro per questo. Se poi ci aggiungi che l’esistenza del tempo è una questione fisica ancora tutta aperta, è una roba da andarci fuori di testa. Il tempo ci compone e scompone, ci solca nel profondo e ci scorre via, è la nostra vita, siamo noi: tempo e spazio, storie e luoghi. L’attesa è diretta conseguenza: il disco ha un sacco di storie di “attese”, di ogni genere, di amore, di figli, di realizzazione. Il disco stesso è frutto di una lunghissima gestazione, a gennaio saranno passati cinque anni dalla scrittura del primo brano.

Parafrasando, le undici canzoni che compongono l’album “sono tutte figlie vostre”, ma c’è qualche brano cui siete particolarmente legati o che sentite più rappresentativo del vostro modo di essere artisti?

Sicuramente Paradiddle: è la prima, ed è anche quella in cui l’arrangiamento è frutto di incastri fortunati. Siamo partiti da un mio pattern di batteria “rovesciato – un paradiddle, appunto – poi è arrivato il riff di chitarra e quindi le tastiere. E Paradiddle è stato anche il primo testo, che ho sottoposto con grande timore e timidezza, ma anche con un’immediatezza che non ho più trovato. Diciamo che è stata la svolta, ed è anche il pezzo più rock, che non guasta. Quella che ci definisce meglio è Domani: il suono, l’andamento, la melodia, l’atmosfera, quel synth di Checco. E il testo che riascolto più volentieri, senza vergognarmi troppo.

Infine, una domanda (richiesta) leggera… Se un vostro ascoltatore cerca dune° su facebook trova pagine riferite alla celebre saga di fantascienza, al film di David Linch, a un altro gruppo musicale e a marchi commerciali. Avete un brutto rapporto coi social network? Attendiamo un vostro profilo ufficiale!

Il problema è che poi i social bisogna gestirli, e non hanno certo i nostri tempi. Rischieremmo di avere pagine con 10 mi piace e aggiornate una volta all’anno… una roba di una tristezza cosmica! Non ci crediamo molto, soprattutto per una piccola e insignificante band vicentina in una giungla di post sponsorizzati e prodotti mediatici di altissima qualità. D’altro canto, non abbiamo nemmeno grandi pretese: ci piace l’idea un po’ naive che il disco basti da sé, che in qualche modo amici e amici di amici, e magari amici di amici di amici arrivino ai nostri brani su Spotify, su Youtube, o altrove. E che spargano la voce, come si faceva con le musicassette trent’anni fa. Poi interviste come la tua fanno il resto. Grazie!

In conclusione, ottima musica, o meglio, come direbbe il nostro direttore roba buona, “per arrivare a domani i dune° ce la forniscono in quantità nel loro album! Lo potete ascoltare su Spotify, su YouTube, ma la notizia più bella è che lo trovate in cd al Pick Up di Bassano Del Grappa! E naturalmente, noi che siamo amanti dei supporti fisici, ve ne consigliamo l’acquisto.

Pezzoni: Domani, Paradiddle, Cose Che Ricordano

Come ascoltarlo: È un disco che invita al viaggio, temporale e fisico, perciò direi in auto, ma anche seduti comodamente, degustando una buona birra artigianale.

Anno: 2020


Francesco Nicolli