C’è gente in gamba in giro, gente che fa bene alla scena musicale. Cordial Massacre fa parte di questo gruppo: un collettivo della zona di Treviso che da diverso tempo lavora nel booking e nell’organizzazione e promozione di concerti. Da un paio d’anni (complice la situazione di merda dei live che conosciamo) i ragazzi di Cordial Massacre organizzazano e producono live session di altissima qualità, portando gli artisti nei luoghi che hanno segnato la loro musica.
Il video che vedete qui sotto, pubblicato in anteprima su Dirty Little Review, è il frutto dell’ultimo lavoro di Cordial Massacre, la live session di Vespertina, cantautrice perugina, registrata in Villa Albrizzi Marini a San Zenone Degli Ezzelini (luogo a cui anch’io sono enormemente legato).
Per conoscere di più Vespertina e la sua musica, sotto al video potete leggere l’intervista, realizzata da Cordial Massacre.
Puoi spiegarci chi è Vespertina? Cosa rappresenta, com’è nata e verso quale direzione si sta evolvendo?
Vespertina sono io, o meglio, è una parte di me importantissima. Non la definirei un alter-ego, ma sicuramente è me in un’altra veste, carica di un simbolismo e di un’energia tutta sua. È nata da un bisogno viscerale di esprimere i i turbamenti interiori e la sofferenza dell’animo, ai quali non riuscivo a dare una forma con le mere parole. In questo momento continua ad evolversi in modo coerente, ma cercando di toccare nuove corde emotive, non solo attraverso le parole, ma anche attraverso la musica, come sempre. Vorrei che la mia voce piano piano raggiungesse un ruolo ancora più centrale, un vero e proprio strumento con cui giocare e sperimentare.
I vespri sono le preghiere pomeridiane al tramonto: il tuo nome d’arte e le tue atmosfere musicali evocano in qualche modo tali atmosfere, anche il tuo album Glossolalia rimanda al cristianesimo primitivo: sembra che la spiritualità giochi un ruolo importante per te, puoi spiegarci come e in che modalità?
La fascinazione verso spiritualità è sempre stata parte integrante del mio progetto musicale. Forse per la sua componente astratta, che si è sempre sposata bene con la musica. Una prima influenza è stata sicuramente il nostro background cristiano, ma nei suoi aspetti più crudi e tribolati. La decisione consapevole di attraversare un cammino di sofferenza per raggiungere ad uno stato altro, estatico, di piena comunione con l’immateriale in un piacere inesprimibile (portato avanti dalle figure dei martiri, ad esempio) mi ha sempre conturbato. Ed è un po’ con questa visione che Vespertina legge la mia vita, le sofferenze che poi portano a creare qualcosa di bellissimo e curativo, come i miei brani.
Giocare ed armonizzare con il linguaggio sembra essere una tua prerogativa, in che modo contribuisce alla tua produzione creativa?
La lingua è una delle mie grandi passioni assieme alla musica. Penso che anche il fatto di aver perseguito degli studi universitari in campo linguistico abbia contribuito molto a questa mia particolarità. Mi sono sempre definita una “artigiana della parola”, perché con essa mi sembra di creare nuovi mondi e una comunicazione tutta mia. I testi che scrivo sono accuratamente studiati e anche dal vivo l’armonizzare le parole in maniera che delle volte non si distinguano tra loro o sembrino irriconoscibili è una cosa fatta volutamente. La risposta più bella l’ho spesso dal pubblico
straniero che, anche se non riesce a capire propriamente ciò che dico, si fa trasportare dalle melodie create e riesce comunque ad interiorizzare le emozioni che io traspongo nei testi.
Quali sono i luoghi reali e interiori che influenzano i testi e le atmosfere dei tuoi pezzi?
Tra i luoghi reali rientra sicuramente la mia terra d’origine, l’Umbria, carica di misticismo e di bellezze naturali. Tra di esse spicca il lago Trasimeno, elemento da sempre estremamente curativo e d’ispirazione. Mi sono sempre sentita molto vicina all’elemento dell’acqua, in particolare dolce, perché legata al tempo stesso alla terra, alle profondità, all’elemento ctonio della mia regione e di me stessa. Da questi elementi più concreti nascono poi le mie astrazioni interne, di luoghi lontani nel tempo e nello spazio, che siano ricordi o mere sensazioni.
In che modo pensi che la scena musicale indipendente di artisti giovani ed emergenti possa svilupparsi di modo da creare una rete di scambio e confronto?
Il fervore all’interno della scena musicale che abbiamo visto crescere negli ultimi anni non può farmi che piacere, ma il covid ha reso tutto estremamente più complesso, in particolare la realtà della musica underground. Abbiamo passato due anni di nulla, concerti e situazioni di socialità completamente assenti e scambi ridotti al minimo. Vivevano soltanto sui social, dove alla fine ognuno di noi ha cercato una sorta di rifugio nonostante la frustrazione del non avere più i nostri luoghi dove suonare, poter ascoltare qualcosa di nuovo o semplicemente incontrare persone.
La cosiddetta ‘ripresa’ sta facendo dei passi in avanti, seppur lentamente, ma sicuramente c’è un grosso bisogno di fare rete e di riportare la gente sotto ai palchi. E credo sia la questione più difficile da risolvere, soprattutto fuori dalle grandi città. I problemi nati durante la pandemia non sono altro che la concretizzazione di ulteriori problematiche già presenti all’interno della scena underground.
Sicuramente come artista penso ci sia il bisogno di maggiore inclusività e apertura nei confronti di chi si avvicina al mondo ”underground”, e lo sottolineo ulteriormente come donna che suona e va ai concerti (per alcuni siamo ancora figure mitiche, la cui esistenza non è del tutto certa).
Per non parlare della moria dei locali che abbiamo avuto negli ultimi anni: i posti per suonare sono pochi e spesso gli artisti devono vivere di ‘rimborso spese’, che – diciamocelo – anche basta con il ripagare i continui investimenti che uno/una fa con la gloria. Non è facile trovare una soluzione definitiva a tutte le problematiche che ci si trova ad affrontare oggi. Sicuramente c’è bisogno di instaurare un dialogo collettivo in modo tale da collaborare tutti insieme – artisti e addetti ai lavori e cercare di trovare un modo non più per ‘far sopravvivere’ la scena, ma per farla vivere a pieno regime.
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Enrico Grando
Intervista di Cordial Massacre.