Avete mai partecipato a un corso di degustazione? Che stiamo assaporando un formaggio o gustando un buon vino, una delle prime nozioni di analisi sensoriale che vengono trasmesse e apprese è che quel sapore, quel tal profumo che abbiamo individuato lo riconosciamo (o meglio ri-conosciamo, semi cit.) perché già lo conosciamo, fa parte del nostro bagaglio di conoscenze, in questo caso olfattive o legate al gusto. Funziona così anche per l’arte: quando ci troviamo di fronte a un quadro, a una particolare architettura o, come nel caso di cui sto per parlare, a una fotografia, il nostro cervello crea immediatamente associazioni e collegamenti con ricordi, visioni, suggestioni, in una parola con ciò che abbiamo studiato, conosciuto e memorizzato.
E nella musica? Beh, sicuramente alcune sonorità le riconosciamo come “proprie” di un gruppo o definiamo, a volte in maniera semplicistica, come “derivativo” il sound di una certa band solamente perché ci sembra di averlo già sentito, ci pare che il “debito” di questo gruppo o artista con qualche altro riferimento musicale del passato sia palese. Ma tutto questo, anche la critica, è possibile perché già conosciamo altra musica, altre canzoni, altri artisti. Se non avessimo mai ascoltato i Joy Division, avremmo eletto gli Interpol, per quanto restino comunque un gran bel gruppo, come i depositari di un certo stile. Gli esempi potrebbero essere numerosissimi.
Ecco, il “riconoscimento” mi è capitato di recente in ambito fotografico, ed è stato provocato da un magnifico scatto di Martina Ridondelli agli Estra, una foto promozionale legata all’uscita de Gli Anni Venti, il nuovo, intenso e attesissimo album del gruppo trevigiano.
Ebbene, questa fotografia, in cui Giulio Casale e i suoi sodali sono “accomodati” su un bel mucchio di pietre, me ne ha riportata alla memoria un’altra, legata a Desaparecido, disco d’esordio di una band che molto ho amato. Avrete certamente capito che sto parlando dei Litfiba. I sassi, nel loro caso, comparivano già nella copertina dell’album, e il gruppo, a firma Cesare Dagliana, veniva invece immortalato sul retro ma anche in altri scatti posizionato su un gran cumulo di pietre. Quella sul retro è una foto statica, con Pelù seduto in primo piano, ma ne ammiro particolarmente un’altra, in cui l’unico membro del gruppo assolutamente fermo è Gianni Maroccolo, con gli altri musicisti impegnati invece in balzi più o meno alti, la vedete qui sotto.
Così, come dice Giulio in Ciliegi in fiore, una delle composizioni che più amo di Sullo Zero, “la mente ha preso a vagare”, e ho iniziato a chiedermi se, oltre a questa coincidenza (?) artistica, vi fossero altri punti di contatto fra i due album. Ovviamente ciò che sto per scrivere è frutto della mia interpretazione, che è tanto soggettiva quanto potenzialmente fallace. Comunque, let’s goooo!!!! (cit.)
Per cominciare, è bene sottolineare come si tratti di due album usciti a quasi quarant’anni di distanza. Già, fa un certo effetto, ma Desaparecido è del 1985, Gli Anni Venti, realizzato grazie al supporto di un crowdfunding di incredibile successo, si trova nei negozi di dischi da giugno di quest’anno.
E qui, magari forzata, potrebbe starci la prima affinità: Desaparecido è il primo album della band fiorentina, che in precedenza aveva dato alle stampe solamente singoli ed EP, oltre all’ormai mitica colonna sonora Eneide di Krypton. L’album d’esordio, dunque, un album importantissimo (per il gruppo e per il rock italiano, in assoluto) e amatissimo. Forse anche Gli Anni Venti si può considerare un disco d’esordio? Beh, naturalmente non in senso stretto, conosciamo bene e amiamo la discografia degli Estra negli anni Novanta. Certo è che l’ultima uscita discografica del gruppo prima dell’incisione del nuovo lavoro in studio è un doppio cd di esecuzioni live arricchito da un paio di inediti, e risale al lontano 2003. Perciò, in un certo senso, non è un esordio, ma certamente un nuovo inizio, per gli Estra.
E stilisticamente come la mettiamo? Beh, possiamo dire subito che Desaparecido non possiede l’irruenza de Gli Anni Venti, così come in quest’ultimo non compaiono i richiami orientaleggianti presenti in canzoni come Istanbul (e in precedenza già in Onda araba o Versante Est), né quelli gitani (Tziganata) tanto cari alla poetica di Pelù. Più eterogeno il disco dei fiorentini, sicuramente più compatto, monolitico azzarderei, il nuovo degli Estra. Da un punto di vista stilistico, credo infatti che quest’ultimo sarebbe più facilmente accostabile a Terremoto per potenza e impatto sonoro.
In generale il suono dei Litfiba e quello degli Estra sono accomunati dall’importanza della chitarra, con Ghigo Renzulli da una parte e Alberto Salvadori dall’altra a caratterizzare con i loro propri e inconfondibili tocchi molte canzoni diventate iconiche. Il loro ruolo fondamentale è fuori discussione, Ghigo è stato fondatore e per anni (bui) unico depositario del nome della band; quanto ad Abe, anni addietro Giulio confidò come una volta Manuel Agnelli gli avesse confessato come degli Estra gli invidiasse proprio il talentuoso chitarrista. Ma mi permetterei di sottolineare come, sia in Desaparecido (con la splendida eccezione di Eroi nel vento, vero inno litfibiano in cui la chitarra di Ghigo è dominante) che ne Gli Anni Venti, sono le sezioni ritmiche a essere imprescindibili, con il basso di Maroccolo a svettare in più frangenti, accompagnato dalle bacchette del compianto Ringo De Palma, e la batteria di Accio Ghedin e il basso di Eddy Bassan a svolgere un compito determinante nel comunicare il messaggio de Gli Anni Venti.
Ma la voce, e i testi? Mi sembra che qui qualche punto di contatto, confronto e anche di distacco possa esserci. Innanzitutto, il cantato. Se la voce del primo Piero Pelù è affascinante, a tratti oscura, assai diversa da quella che i più hanno iniziato a conoscere (e non sempre ad amare) solo con il clamoroso successo commerciale di El Diablo, possiamo invece dire che quella di Estremo Casale, a distanza di vent’anni, si è mantenuta molto più in salute, tanto da essere, come sempre, profonda, magnetica, evocativa. Come si diceva, non solo musicalmente ma anche a livello di testi, Desaparecido appare più eterogeneo, i testi (alcuni dei quali composti, per stessa ammissione dell’autore, grazie a qualche aiutino lisergico) trasportano spesso in una dimensione onirica, o comunque “lontana”, nello spazio e nel tempo. Quelli che Giulio ha scritto per il nuovo album sono invece forti, a volte rabbiosi, e dettati dall’urgenza di comunicare le storture della nostra società e una pericolosa, agghiacciante regressività (“la cultura regressiva, stira e ammira il vuoto che c’è qua”).
E proprio nel fine di certi brani dei Litfiba e in quello dell’intero nuovo e già importantissimo album degli Estra risiede a mio parere la caratteristica che più avvicina i due lavori: quella di voler portare all’attenzione degli ascoltatori certe situazioni, quello di voler trasmettere un messaggio, la volontà di denunciare. Già a partire dall’album d’esordio del gruppo fiorentino, infatti, emerge fortemente il tema dell’antimilitarismo, poi ripreso in numerose altre occasioni (perlomeno fino a Terremoto), ed è evidente nella title-track (denuncia dei regimi militari del Sudamerica, sia esso Cile o Argentina), in Istanbul (che a fronte di una melodia accattivante ci parla di una città attraversata dalle tensioni, soprattutto di stampo religioso) e naturalmente nella conclusiva Guerra (“Guardo oltre il muro di vetro/ l’esercito che passa/ uomini neri”).
E anche nel caso de Gli Anni Venti, album politico nel vero senso del termine, è la canzone che dà il titolo al disco a parlare chiarissimo: “il nero avvolge tutto/ il nero intacca tutto/ il nero sta con tutto/ il nero è dappertutto”, terrore di un passato oscuro che in Italia sembra tornare, a distanza di cent’anni. Ma c’è un altro male della nostra società che spaventa e lascia sbigottiti, è la nostra indifferenza, la nostra incapacità di stupore ed empatia, ancor prima della volontà di reazione. E questo emerge in più tracce del disco, a partire da La Signora Jones (“sono solo io?”) per arrivare a Il Peggiore (“Il dolore peggiore è non sentire più dolore”), passando per quel grido: “Domandami ancora che n’è degli umani”. Che potrebbe essere il titolo di una conferenza, o di un libro.
Chiudo con un ulteriore e curioso punto di incontro fra i due album. È singolare che si tratti di una recensione. O meglio, di due recensioni, firmate dalla stessa penna, ma a distanza di soli quarant’anni.
Se nel 1985 Federico Guglielmi era già un nome importante per il rock italico, tanto da essere una delle firme più apprezzate del Mucchio Selvaggio, capirete come oggi Guglielmi, giornalista, critico musicale, scrittore, sia considerato un vero e proprio mostro sacro nell’ambito della letteratura rock di casa nostra. Dovete sapere che il Mucchio supportò concretamente l’uscita di Desaparecido, tanto che il logo della rivista compare sul retro della copertina e le parole di Guglielmi, che ha il merito di aver saputo riconoscere per primo la qualità dei Litfiba, sono riportate anche nell’inner del disco stesso. Suonano così, e leggerle a distanza di tanto tempo non fa che accrescerne il valore: “Cosmopoliti e affascinanti, i Litfiba affermano prepotentemente la propria unicità, spazzando via ingiusti pregiudizi; se un giorno prenderà piede una nuova musica italiana per il mondo, questo album dovrà inevitabilmente esserne considerato l’imprescindibile punto d’avvio”.
E de Gli Anni Venti, Guglielmi cosa ne pensa? Beh, parrebbe esserne entusiasta, tanto che ne ha parlato su due testate. Su Blow Up: “A volte ritornano e spesso lo fanno come zombie. Ma questo non è certo il caso degli Estra […] Potente, urgente, all’occorrenza rabbioso e sociopoliticamente schierato, Gli Anni Venti è la più brillante rentrée che si sarebbe potuta immaginare per uno dei più grandi gruppi rock che l’Italia abbia mai partorito. Provare per credere”. E su AUDIOreview così: “[…] Dall’inizio alla fine vibra di energia, di passione, di un nervosismo positivo indissolubilmente legato a una forza poetica viva tanto quanto quella di trent’anni fa […]. Dal quartetto trevigiano ci si poteva attendere un bel ritorno ma qualcosa di così urgente e potente non era nemmeno nelle più rosee aspettative”.
Se proprio una storia deve ripetersi, allora ci auguriamo che “Gli Anni Venti” possa replicare la stessa fortuna e successo di “Desaparecido”. Once again…
—
Francesco Nicolli