Anderson .Paak and The Free Nationals a Verona

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Bastano le prime parole, basta un “y’all niggas got me high” e il pubblico non capisce più niente.
Anderson .Paak è un trascinatore, un artista poliedrico in grado di spaziare dalla ballata slow funk all’hip hop stile Kendrick Lamar, fino alla disco più spinta, sempre a suo agio e sempre coinvolgente, un artista con una comfort zone enorme.

anderson .paak verona

Teatro Romano di Verona, 29 maggio 2017, arriviamo un po’ in anticipo. Non so come ma sono riuscito a convincere Enrico e Massimo ad accompagnarmi; il problema è che non lo sanno neanche loro, e ovviamente non mancano occasione per ricordarmelo durante il viaggio. Per far star buono Massimo ho persino dovuto fingere di credergli che “si, sai inspirare ed espirare contemporaneamente”. Son talenti eh.

Comunque, kebab in corpo e birrino in mano ci accomodiamo sulle gradinate in pietra dell’anfiteatro. La location è stupenda, merita davvero: incorniciata e raccolta ma allo stesso tempo fedele alla vastità degli spazi aperti.
Opening act un dj modesto che ha il merito di impostare il mood giusto con un buon hip hop d’autore, anche se ogni tanto gli scappa qualche brano proprio del protagonista della serata: non si fa.

anderson paak verona

21.30, più puntuali del previsto si abbassano le luci e entrano i Free Nationals, tecnicamente la band d’appoggio ma in realtà è la band in cui Anderson suona e canta, tanto è forte il legame tra le due parti. Qualche secondo dopo entra anche lui: pausa ad effetto per raccogliere gli applausi e poi boom: “Y’all niggas got me high!

L’artista californiano decide di aprire col botto e Verona sa come ringraziare; l’anfiteatro esplode, dimenticati i posti a sedere siamo già tutti in piedi a ballare sul ritmo sincopato di Come down e The Waters, con la seconda strofa di quest’ultima cantata sopra il celebre beat di Smoke Weed Everyday di Snoop Dog, giusto per avvertire il pubblico che stasera non si ascolta un disco, stasera può succedere di tutto.
E succede veramente di tutto quando, dopo 3 pezzi, il nostro si siede alla batteria per insegnare un po’ di funk con Put Me Through e Heart Don’t Stand A Chance, con quel cassa rullante un po’ in ritardo che tanto ci piace. Anderson .Paak è un batterista fenomenale, si diverte a suonare insieme alla sua band e si prende gioco di tre quarti degli aspiranti musicisti presenti, cantando e rappando mentre suona i suoi colpi storti e improvvisa qualche assolo, e ovviamente non sbaglia niente. Pazzesco.

Il concerto prosegue con qualche pezzo un po’ più “normale”, si pesca dal disco precedente, Venice, che per quanto piaccia non è comunque al livello dell’ultimo lavoro, Malibù. Tra una ballata e l’altra mi viene da guardare l’orologio: ha fatto i miei 3 pezzi preferiti nelle prime 6 canzoni, sarà inevitabilmente in discesa da qui in poi, mi dico.
E invece.

anderson paak venice

Anderson è imprevedibile, teatrale, e forte della sua versatilità infila a metà concerto una doppietta micidiale: prima ci seduce con The Bird, un pezzo sulla sua infanzia non esattamente rosea, con uno swing tra il malinconico e il sensuale, un magnete di empatia che fa cadere ogni barriera, qualora ce ne fosse ancora bisogno. Poi, dal nulla, ci scaraventa in una versione disco potente di Am I wrong, il suo singolo più famoso, e qui succede il finimondo ancora una volta.
Ballano tutti: ballano i tecnici del suono, ballano gli addetti alla sicurezza, ballo io, e intravedo pure Enrico e Massimo nella loro personalissima interpretazione di alcune mosse disco dance. Mentre mi abbandono alla grancassa in quarti non posso fare a meno di pensare che fin qui la scaletta sia stata costruita interamente per questo momento, e ‘sti cazzi Anderson: ci hai portato in cima e la sensazione è che da quassù vale tutto, You Might Not Never Come Down.

anderson paak and the free nationals

C’è ancora metà concerto in realtà, c’è ancora Suede del precedente progetto NxWorries che ci fa saltare su un piede solo, per esempio, ma il senso del tempo a questo punto se n’è andato, siamo completamente in balia di Anderson e dei suoi balletti alla Fresh Prince of Bel Air, dei suoi ritmi storti alla batteria, delle sue improvvisate in mezzo al pubblico e del suo disinteressato amore verso tutti. “If no one loves you, know that I love you” dice ad un certo punto, ed è impossibile non credergli. Verona lo sa, si sente protetta, amata, e sa ricambiare a dovere con un calore di tutto rispetto.

A fine concerto ci guardiamo un po’ confusi, incapaci di capire se abbiamo assistito ad un concerto funky jazz o se eravamo in un club hip hop. All’uscita noto qualche faccia nota a prendere appunti, tra cui Gianluca da Avellino detto Ghemon, e mi rendo conto di aver assistito al primo concerto italiano della next big thing della scena hip hop, di un artista che per qualche anno probabilmente la spiegherà a un bel un po’ di gente.
Noi c’eravamo.
Lui: .D .e .v .a .s .t .a .n .t .e

Quando: 29 Maggio 2017

Dove: Teatro Romano, Verona

Scaletta:
– Come Down
– The Waters
– Glowed Up
– The Season/Carry Me
– Put Me Thru
– Heart Don’t Stand A Chance
– Get Bigger (NxWorries)
– Dang!
– Room In Here
– Without You
– Might Be
– Miss Right
– The Bird
– Am I Wrong
– Light Weight
– Silicon Valley
– I Miss That Whip
– Suede (NxWorries)
– Luh You
ENCORE
– Milk N’ Honey
– Drugs
– The Dreamer


Mirco Geremia