Johnny Marr – Playland

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Johnny Marr - Playland Recensione 2014In vista dell’imminente concerto del buon Morrissey (22 ottobre a Padova per me, voi andate quando vi pare a meno che non l’abbiate già fatto), quale migliore occasione per recensire l’ultima uscita discografica dell’altra colonna della ormai scomparsa cult–band The Smiths, ovvero mister Johnny Marr?

Scandalosamente e ingiustificabilmente sottovalutato sia come chitarrista che come autore nel corso della sua ormai trentennale carriera, è altresì riduttivo considerarlo solo come “l’ex – Smith”: basti pensare alle innumerevoli collaborazioni con artisti come John Frusciante, Beck, Lisa Germano o gli Oasis stessi (sembra che i fratelli Gallagher abbiano preso ispirazione da Marr per il loro hairstyle, ma non fateglielo notare!).

A circa un anno e mezzo di distanza dall’esordio come solista (The Passenger), Marr sembra averci preso gusto: acquisita una sorprendente sicurezza dei propri mezzi vocali, Playland promette di mostrare gli artigli attraverso 11 tracce ad alto tasso adrenalinico: eh sì, pare che la leggendaria Fender Jaguar dell’artista inglese non abbia la benché minima intenzione di dare tregua all’ascoltatore. Purtroppo, tutto ciò sembra concretizzarsi solo sulla carta. Ma andiamo con ordine.

Si parte in quarta con la travolgente Back in the Box, che sembra nata apposta per poter rinfrescare le nozioni acquisite da adolescente nell’ambito dell’headbanging. Difficile che vi si stacchi dalla testa in poco tempo.
Ed arriviamo al primo singolo dell’album, Easy Money. Innegabile l’incedere radiofonico e il cantato ammiccante del buon Johnny. Tuttavia, nel complesso, il brano finisce per spiccare soprattutto per la sua mediocrità. Peccato.
Dynamo è un pezzo discreto: ricercato e catchy ma allo stesso tempo piuttosto piatto nel suo incedere: stesso discorso vale più o meno per la seguente Candidate, nella quale emerge uno stile vocale assimilabile agli Smiths (qualcuno ha detto Morrissey?). 25 Hours ci mostra alcuni pezzi di bravura sullo strumento nel primo minuto: purtroppo è tutto ciò che il brano ci offre, scadendo in una banalità sconcertante. Lo stesso dicasi per The Trap, con un ritornello che spazia dal melenso al ridicolo con disarmante facilità. Per fortuna arriva la title-track, che riprende dove ci aveva lasciati Back in the Box: riff tiratissimo e batteria arrembante, che altro chiedere?
Sfortunatamente è un fuoco di paglia. con Speak Out Reach Out si ripiomba nella mediocrità senza appello, giunge quindi a dare sostegno a tale tesi Boys Get Straight: bel ritmo, sì, ma liriche e ritornello francamente imbarazzanti.

Quando tutto sembrava perduto, ecco spiccare un ottimo pezzo! This Tension piacerà sicuramente ai fan degli Smiths (sempre loro, lo so), basti sentire il riff per rendersi conto cosa intendo. Chiude il disco, con più infamia che lode, Little King, ma purtroppo non ci siamo, e purtroppo non è una novità.

In definitiva, chi si aspettava dal disco forti richiami allo stile degli Smiths resterà senza dubbio deluso. Il fatto di volersi distaccare dal suo passato rende onore alla personalità di Johnny Marr, ma sfortunatamente, ritengo che molti altri resteranno con l’amaro in bocca visto che il disco non sembra mai decollare nonostante il carisma e lo spessore dell’artista in questione. Che l’ormai 51enne Marr non abbia più nulla da dire?

Mi auguro di no. Se è vero che il rock è spesso partigianeria, mi adeguo e arrivo addirittura a sostenere che il vero motore di quella leggenda che corrisponde al nome di The Smiths, ancor più delle liriche visionarie di Morrissey, siano stati i riff della sfavillante Jaguar di Marr. Sì, sempre lei. E perciò è lecito aspettarsi molto di più dal signor John Martin Maher (ecco, lo scrivo per intero per dimostrare quanto sono incazzato per l’occasione mancata). C’mon mate!

Come ascoltarlo: Mah… la sempre gettonata macchina? Magari a velocità sostenuta?

Pezzoni: Back in the Box, Playland, This Tension

Anno: 2014


Andrea Cignoni